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VAL DI NOTO - L’UNESCO PREOCCUPATA PER LE TRIVELLAZIONI


Il via libera a una società texana per la ricerca di gas e petrolio nella terra del barocco scatena polemiche. Mentre l’ente Onu chiede lumi al governo, la giunta isolana vuole tornare indietro.

L’ennesimo guazzabuglio in Sicilia è un intrigo pirandelliano fatto di ori barocchi e oro nero, multinazionali e assessori, decreti firmati e affossati.
Il pasticciaccio si consuma tra le campagne della Val di Noto, dove due mesi fa una società texana ha cominciato a trivellare, e il parlamentino di Palermo, in cui si legifera e si revoca. Questa volta però la situazione si è ingarbugliata parecchio. E perfino l’Unesco vuole vederci chiaro.

Perché nella vasta area data in concessione per la ricerca di petrolio e gas alla Panther resources ci sono Caltagirone, Ragusa, Noto e Modica, famose nel mondo per i loro capolavori barocchi.
Per questo l’Unesco nel 2002 ha inserito le 4 città (in totale sono 8 ) nella prestigiosissima World heritage list, tra i beni patrimonio mondiale dell’umanità.

L’accostamento tra petrolio e tesori non piace per niente a Ray Bondin, segretario generale dell’Icomos, l’ente che per conto dell’Unesco valuta e monitora i siti inseriti nella lista. Questo cinquantenne di origine maltese è l’uomo che ha detto sì e poi seguito e portato avanti la condidatura della Val di Noto. «L’Unesco sta raccogliendo tutte le informazioni sulle trivellazioni. E presto si pronuncerà ufficialmente» dichiara a Panorama. «La situazione ci preoccupa, anche perché tanti cittadini ci hanno scritto allarmati. È una cosa da prendere molto sul serio».

Concretamente potrebbe accadere questo: «Noi prepariamo ogni anno un elenco di siti in pericolo, atto che precede la cancellazione del bene. E c’è il pericolo che la Val di Noto finisca in quella lista» sostiene Bondin. Le trivellazioni sono però lontane chilometri dalle città, in aree non sottoposte a vincolo… «Il problema non è se la perforazione viene fatta vicino alla chiesa» chiarisce Bondin. «Il punto è l’immagine di ritorno al passato che dà la Sicilia».

Il passato sono le raffinerie che hanno sfregiato la costa siracusana: i petrolchimici che sputano veleni a Priolo e Augusta, che hanno portato fra la popolazione un forte aumento di tumori e malformazioni infantili. Sono quelli che Francesco Bandarin, direttore del Centro del patrimonio mondiale dell’Unesco, chiama «danni indiretti su un bene del patrimonio mondiale». Bandarin resta cauto, ma sottolinea: «Ho chiesto ufficialmente informazioni al governo italiano».

Il tema è diventato uno dei più dibattuti e controversi della politica isolana. Riconosciuto Don Chisciotte della Valle, colui che impersonifica la battaglia dell’uomo contro la trivella è il siracusano Fabio Granata, di An, assessore al Turismo della Regione Siciliana. Sostiene che il riconoscimento Unesco ha fatto cambiare il vento: «Siamo l’area con più beni inseriti nel patrimonio dell’umanità. Nei primi 9 mesi dell’anno abbiamo avuto il 20 per cento di turisti in più. Questa zona ha scelto ormai un modello di sviluppo diverso, fatto di turismo, artigianato ed enologia. Il petrolio noi l’abbiamo già, ma in superficie. Quello dobbiamo sfruttare».

C’è un problemino: la maggioranza dei deputati regionali la pensa diversamente. L’antefatto è il decreto firmato nel marzo 2004 da Marina Noè, ex assessore all’Industria dell’Udc, lo stesso partito del presidente Totò Cuffaro. Concede alla Panther il permesso di cercare gas e petrolio per 6 anni in mezza Sicilia. Ma quando la società texana cala nell’isola armata di trivelle e geologi cominciano a suonare gli allarmi degli ambientalisti.

Lo scorso agosto la giunta tenta di riparare con un emendamento che vieta le perforazioni nei siti Unesco. Ma sinistra e Fi si saldano e la maggioranza va sotto. Alessandro Pagano, assessore forzista ai Beni culturali, spiega perché: «È una questione ideologica, non ci sono rischi. E poi mica siamo dei quaquaraquà: che credibilità può avere una regione che prima dà una concessione e poi la revoca?».

Una parola decisiva arriva da Cuffaro, che a Panorama anticipa: «Riporteremo in aula la norma, se serve ricorrendo anche al voto di fiducia. E nel territorio di Ragusa il sindaco dovrà ritirare le concessioni». E la Panther? Ha un contratto con la Regione che prevede investimenti di 43 milioni di euro, la maggior parte da spendere proprio a Ragusa, dove la società ha trovato due pozzi a una decina di chilometri dalla città.

Cuffaro non si scompone: «Se occorre, affronteremo anche il contenzioso legale con la società. Nei siti Unesco non ci saranno più perforazioni. Parola mia». I texani intanto trivellano. James Smithermann III, amministratore delegato della Panther Eureka, società fondata per le ricerche in Italia, spiega che i loro programmi «dipenderanno dall’atmosfera politica». E fa notare: «L’Eni ha trovato un giacimento di petrolio nella nostra stessa zona e Noto produce gas da tre anni. Però non ha mai avuto alcun attacco. Mi sembra che ci sia un’evidente disparità di trattamento».

La Panther cercherà veramente solo gas? Smithermann resta sul vago: «Non crediamo che ci siano giacimenti petroliferi in quest’area. E poi stiamo scavando in buchi da cui in passato non è uscito greggio, ma gas. Che senso avrebbe?». Fatto sta che la maggior parte dei sindaci delle città siciliane in cui la multinazionale può cercare idrocarburi prepara barricate.
Tonino Solarino, sindaco di Ragusa della Margherita, le autorizzazioni però le ha date: «C’era un decreto regionale da attuare e io ho rispettato le leggi. E si tratta di ricerca, non di costruire raffinerie».

Fortificazioni altissime costruisce invece Piero Torchi, dell’Udc, che guida il Comune di Modica: «Ci vogliono far credere che se trovano il petrolio dicono “no grazie, non ci interessa”. Ma per favore… È quello il loro obiettivo. Sono pronto a schierare i vigili davanti ai pozzi».

Dei texani non si fida: «Li ho tempestati di comunicazioni ma nessuno ci ha mai spiegato niente. Un atteggiamento da neocolonialisti che regalano perline agli indigeni». Per la cronaca, le perline valgono 100 mila euro a pozzo, più il 7 per cento di royalty da dividere fra comune e regione. Ma l’impressione è che fra yankee e indiani, veri o presunti, la battaglia sia solo cominciata.

DECRETI E FRANCHI TIRATORI
Nel marzo 2004
un decreto dell’assessore all’Industria della Regione Siciliana autorizza per 6 anni la ricerca di idrocarburi alla Panther, compagnia petrolifera texana. L’area si trova tra le province di Catania, Siracusa e Ragusa. Comprende 16 comuni, di cui quattro (Noto, Modica, Ragusa, Caltagirone) inseriti nel 2002 dall’Unesco tra i beni patrimonio mondiale dell’umanità.
I sindaci dei comuni siciliani si schierano contro le trivellazioni. Unica eccezione, il primo cittadino di Ragusa, Tonino Solarino, della Margherita, che concede la autorizzazioni. A giugno del 2005 le trivelle della Panther oil cominciano a scavare.
Nel luglio 2005
la Regione Siciliana tenta di fare marcia indietro sulle concessioni, ma l’emendamento che impedirebbe le trivellazioni nei siti Unesco viene bocciato in aula con il voto segreto.
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